Questa conversazione con Maurizio Ambrosini parte dall’attualità, precisamente dalla Direttiva UE sul rendimento energetico, poi si trasforma agile in una conversazione filosofica sul senso della vita, della storia e dell’uomo. Fortuna nostra.
La revisione della direttiva (EPBD) da parte della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo prevede che tutti i nuovi edifici costruiti dal 2028 dovranno essere a emissioni zero. Gli altri, quelli già in piedi, dovranno adeguarsi: tutti in classe E entro il 2030 e in classe D entro il 2033.
“In ogni caso, i monumenti non sono coperti dalla direttiva, non sono previsti requisiti per i monumenti nazionali” – ci rassicura Ciaran Cuffe, relatore della direttiva sull’efficienza energetica.
Ma rimaniamo vigili, noi osservatori ormai capaci di guardare al di là delle dichiarazioni al miele del Parlamento Europeo et similis, abituati a comprendere che le direttive aprono una finestra che si spalanca sempre di più con il tempo e ad immaginare scenari possibili, da cui, tendenzialmente, dobbiamo proteggerci.
Per questo proviamo ad andare un po’ più a fondo, ai concetti del pensiero dominante, all’ideologia che sta dietro tutto quello che sta accadendo.
È illuminante questo scambio con l’architetto, “artigiano del pensiero” come si definisce, Maurizio Ambrosini, originario di Bolzano, che vive oggi in un piccolo borgo ligure, nella casa dei bisavoli. Una casa con mura da 1 metro e 40 centimetri di spessore.
Mi chiedo, come glielo spieghiamo a Ciaran che l’Italia è fatta di centri storici, di edifici del duecento, del trecento, del quattrocento fino al novecento che non sono monumenti, in cui noi abitiamo dentro e viviamo intorno, che rappresentano noi e la nostra storia di paese e di popolo?
Direi che questa manovra è disastrosa sotto tre diversi aspetti:
La politica ha generato il problema e l’industria ha preteso di dare allo stesso problema una soluzione, con il risultato che ci troviamo con l’utilizzo di materiali in edilizia che le prossime generazioni non sapranno smaltire.
Oltre questi aspetti economici e tecnici, qual è il significato esistenziale di queste azioni? Qual è il significato di trasformare le nostre abitazioni, le nostre città?
Significa intervenire all’esterno e alterare l’apparire delle nostre città.
Perché le nostre città sono il linguaggio degli architetti, il linguaggio di una cultura, rappresentano un’idea della realtà, una realtà che è nata quando il linguaggio costituiva la tecnologia primordiale all’interno di un processo di mediazione tra l’uomo e l’insieme, tra l’uomo e la natura.
Gli architetti esprimono un’idea della realtà mediata dalla cultura dell’uomo nel suo percepirsi attraverso la natura stessa. Studiamo Vitruvio, il rapporto con l’insieme e l’insieme nel rapporto col tutto.
Il concetto in estrema sintesi di questa operazione dell’Europa è ciò che noi stiamo vivendo in tutta la contemporaneità come questa ci appare: la tecnologia costituisce una forma di linguaggio, in quanto soggetto agente, e diventa linguaggio essa stessa.
Un linguaggio che eradica ogni parametro valoriale dell’essere umano perché è finalizzato all’efficienza. Non esiste più la capacità umana, esiste solo la tecnologia, unica figlia di questa contemporaneità in cui il mantra dell’efficienza diventa paradigma filosofico: è la via al transumanesimo.
Modificare le facciate delle case che costituiscono l’idea che l’uomo si è fatto della vita, significa annientare le diverse architetture, da quella romana, con un richiamo costante agli dèi, a quella piacentiniana, con il richiamo al razionalismo, all’idea del superuomo capace di governare la storia.
Come il linguaggio, la tecnologia è normativa?
Citando Severino, direi che la tecnologia è un mezzo dell’apparire della filosofia della tecnica, è la filosofia di questa contemporaneità votata all’efficienza.
Storicamente veniamo dal cattolicesimo e dalla filosofia marxista, sistemi filosofici che avevano sempre l’uomo come referente e che volevano avere un carattere salvifico, una filosofia intesa come estremo presidio dell’uomo rispetto alla sua umana finitezza.
Oggi il capitalismo, che è anch’esso una filosofia, ha come scopo il capitale e nel suo paradigma l’uomo è ambivalentemente produttore di capitale e produttore di consumo.
Il fine della filosofia della tecnica si colloca in un processo dove l’indefinito è non più la produzione di capitale, ma la produzione di efficienza. L’uomo ha quindi fatto uno scarto fondamentale diventando improvvisamente e nella forma più drammatica esso stesso un mezzo d’opera, al pari di un metro cubo di tungsteno, piuttosto che di berillo o di litio.
Tutti i mezzi di produzione sono finibili, consumabili e si consumano man mano che procede la produzione.
Distruggere il patrimonio immobiliare italiano, dal punto di vista concreto, altro non è che distruggere la storia dell’umanità, da parte di un’Unione Europa che si sta configurando come un totalitarismo del 21 secolo.
L’esproprio delle nostre risorse è un processo avviato in maniera inesorabile a cui non basta opporsi e discutere dei dettagli, perchè opporsi e discutere dei dettagli significa sedersi al piano dei bari.
Il tavolo va rovesciato! Tutto questo non ha senso logico e rasenta la follia.
Perché non c’è opposizione a questa follia?
Non c’è opposizione perché l’efficienza è diventata un mantra e tutti siamo immersi nel sogno di dipendere da questa progressiva produzione di efficienza che passa attraverso la tecnologia.
Eppure questa è una filosofia fallimentare e possiamo constatarlo ogni giorno: le tecnologie dell’efficienza sulla carta hanno semplificato la nostra vita, ma nella pratica l’hanno resa impossibile. Per parlare con qualsiasi ente pubblico dobbiamo passare attraverso procedure informatizzate ed è esperienza quotidiana per ognuno di noi vedere come oggi facciamo male quello che prima facevamo più facilmente.
L’identità, la città, le idee. Che cos’è per te l’architettura? Cosa significa oggi, in cosa si è trasformata quest’arte nel paradigma tecnologico?
L’architettura è il modo che ha l’architetto di concretizzare un pensiero astratto, di farlo diventare parola, un sogno che diventa un atto concreto, con tutta la forza della parola e che si manifesta nella modificazione dello spazio che ci è dato.
Costruire una casa è uno stato della coscienza rispetto all’insieme cui apparteniamo, la conoscenza applicata unita all’atto creativo che appartiene intrinsecamente all’uomo: lo scarto, il soffio di vita, l’afflato di emozione che non può essere dato da una norma, da una tecnologia, perché è ontologicamente uno stato dell’uomo.
Vitruvio diceva “è bene che l’architetto sappia di musica, di astrologia, di proporzioni, di disegno…” l’ars costruendi raccoglie la cultura e la capacità del fare, una commistione tra un processo ideologico mentale e la concretezza del saper fare.
Oggi invece il progetto architettonico dipende dagli applicativi di cui disponiamo, noi esseri umani dipendiamo da un algoritmo, dipendiamo da una tecnologia. Attenzione, perché l’algoritmo confermando la capacità di modificare i suoi processi, costituisce una forma del costruire che è linguaggio. Un linguaggio non più mediato dalla capacità umana e che vale in quanto verità tecnologica.
La tecnologia che forma questo linguaggio che è assorbente di ogni finitezza umana è distruttiva dell’uomo.
Dove si colloca in questo scenario la politica green?
L’efficientamento del capitalismo e del programma finanziario nella politica green è l’ultima battaglia per sopravvivere del sistema finanziario della produzione. Completamente disgiunto dall’economia reale, per cui si sono aperti processi di cartolarizzazione con un debito cedibile all’infinito e strutture finanziarie monstre delle quali l’opinione pubblica comincia a rendersi conto.
Narrazione pervasiva, opinione pubblica, sentire comune, pensiero critico. Abbiamo assistito ad una vera e propria frattura della società in questi ultimi anni. È possibile che questo strappo si possa ricucire?
Chi si è svegliato dall’ipnosi del consumo, chi ha visto, ha capito e ha definitivamente aperto gli occhi, ha superato questa soglia di coscienza e non è più disposto a tornare indietro, non lo può fare.
Da una parte chi si appoggia alla filosofia della tecnica come paradigma, come ipotesi per la soluzione della propria finitezza e dall’altra chi avrà avuto la capacità di resistere.
Molte persone hanno oggi abdicato al loro senso di responsabilità, scegliendo piuttosto di vivere nel solco del senso di colpa e della speranza.
Credo che sia il momento per l’uomo di tornare ad essere centro della storia. La nostra vita non si commisura sull’efficienza, ma sulla capacità di divenire.
Questa contemporaneità ci ha messo di fronte al fatto che siamo fatti di due paste diverse.
Se prima la separazione era labile oggi è netta, la sensibilità si è acuita, si prendono le distanze, ci si allontana da chi si sente non ci sta facendo bene.
Perché loro sì e noi no, abbiamo sbagliato a pensare che fossimo tutti uguali.
Perché il coraggio non si dà, si ha o non si ha.
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