L’amore non è un atto di sottomissione, è un atto conoscitivo
Prosegue il racconto di Mirella Santamato sulle trappole invisibili che ci impediscono di amare.
Se sei rimasto/a indietro leggi qui il primo articolo, a questo link trovi invece il secondo e qui puoi leggere la terza parte; la quarta parte; quinta; sesta; settima e ottava parte del racconto di Mirella Santamato.
A proposito di questo antico meccanismo scellerato, Gemaine Greer è lapidaria nel suo famoso saggio “L’eunuco femmina”. Infatti lei afferma che
“Nell’interesse dell’amore (e degli uomini, aggiungo io) le donne devono respingere i ruoli che sono loro offerti dalla nostra società. In quanto esseri impotenti, insicuri, inferiori esse non potranno mai amare in modo generoso.”
E non potranno mai dare a un uomo il dono più grande, aggiungo ancora io, il dono della Conoscenza.
L’amore non è un atto di sottomissione, ma è un atto conoscitivo.
Anche la Bibbia usa questo verbo – conoscere – per indicare la conoscenza carnale. E se si potesse accedere ad altri livelli di Conoscenza, proprio grazie alla vera conoscenza carnale tra uomo e donna?
La natura provvida aiuta, in questo senso, la donna a conoscere il mistero che è nascosto nel suo corpo e che, attraverso il suo corpo e il suo spirito, essa può donare all’uomo.
Che cosa sono le mestruazioni, allora, in questa chiave simbolica? Non sono altro che il perpetuo richiamo naturale, corporeo, alla donna per entrare “dentro di sé”, quasi un monito divino che ogni mese, puntualmente, si ripresenta, a dire a tutte le Eve del mondo “Ricordati che hai la Vita dentro”. Anche il fatto che sia proprio il sangue e non un altro elemento, ad uscire dal corpo della Donna, anzi dalla sua vagina, è simbolo e controprova di questo.
Non si dice sempre, in un caso di profonda difficoltà, “ho dovuto sputare sangue”?
Anche la Donna deve accettare il grave peso di essere chiamata a portare la Vita dentro.
E le costa sangue. Sangue fisico, se ci si limita al livello fisico, e “sangue” psichico e spirituale se si cambia di livello. Mi spiego meglio: la Donna ha un enorme compito da portare a termine “dentro di sé”, e deve letteralmente “sputare sangue” tutti i mesi per avere accesso a questa sua facoltà, quella, appunto, di poter portare avanti la Vita. Non è un compito facile, certamente, ed è per questo motivo che molte donne preferiscono prendere un’aspirina ad ogni dolore mestruale e ritengono in modo castrante e semplicistico che essere donne sia “una condanna”. Se capissero nel profondo che cosa stanno facendo al proprio corpo, si asterrebbero, poiché più analgesici si prendono, più si ottundono i sensori di accesso alle proprie sensazioni e, di conseguenza, alla verità che il nostro corpo ci porta. A volte però il dolore fisico, almeno dalle nostre parti, è talmente acuto, che la donna non può resistere con altri mezzi. È vero, l’aspirina fa passare il male. Ma perché quel male è venuto? Perché fa così male?Forse è perché la donna è talmente alienata dall’accettazione della propria femminilità, dal valore che l’utero cela in sé, che le ovaie cominciano a dolere, ogni volta che la Vita si ripresenta al suo richiamo mensile, quasi che la parte psichica della donna rifiutasse quella parte della propria fisicità. Il dolore, quindi, sarebbe provocato dal taglio doloroso che la donna psichicamente ha permesso, nei millenni, che venisse fatto sui suoi genitali, non dai genitali stessi. Se le cose stanno così, l’approccio al problema, sia dal punto di vista medico sia psicologico, deve essere totalmente diverso da quello che è stato finora. Il dolore mestruale è spesso una distorsione culturale. Nessun animale femmina di mammiferi placentati prova dolore nel variare dei livelli ormonali durante le varie fasi dell’estro.
La Natura ha fatto tutte le cose per bene ed è solo lì per insegnarci il percorso che dobbiamo compiere, ricordandocelo fermamente tutti i mesi della nostra vita.
Sono convinta che anche le frequenti depressioni, anche molto gravi, che colgono spesso una donna quando va in menopausa, siano legate al fatto che perde l’unico contatto “fisico” con la
propria “Conoscenza”. O la donna riesce, nei quarant’anni (circa) che ha a disposizione, grazie al richiamo mensile, ad accedere alla profondità del proprio Essere, o la strada non viene più indicata. Dopo diventa ancora più difficile capire.
Infatti la donna non più feconda fisicamente ma che “ha capito”, passerà una vecchiaia bellissima, piena di conoscenze superiori, illuminazioni profonde e potrà essere una fonte inesauribile di amore e di sapere per il proprio compagno e per tutte le persone che ha intorno, ma quella che “non ce l’ha fatta”, al finire delle mestruazioni, si sentirà “vuota”, finita, depressa e disperata. Alcune ripiegano sul volontariato o sul gioco a carte con le amiche per riempire quel vuoto, altre cercano di distrarsi con viaggi o iniziative culturali, per non avere mai il tempo di prendere consapevolezza del vago disagio che sentono nel profondo.
Per alcuni queste parole suoneranno troppo dure, ma lo stato di gravità della malattia è tale che non c’è più tempo per edulcorare la pillola. Vi amo molto, persone che leggete queste righe, indipendentemente da quale sesso abbia esternamente il vostro corpo, e vorrei che queste parole potessero stimolarvi a migliorare la vostra vita, non a farvi sentire ancora più intrappolati nella morsa fatale!
La strada, quindi, è indicata, ma molte di noi donne continuano a prendere tranquillanti per non sentire il richiamo della Vita. Non ci ascoltiamo e poi ci lamentiamo che gli altri non ci ascoltano. Siamo noi per prime a non sentire la forza che abbiamo dentro. In questo modo siamo noi stesse che accettiamo la nostra castrazione, a tutti i livelli possibili: sessuali, mentali e sociali. Siamo talmente tagliate dalla Conoscenza profonda, da riuscire ormai a percepirci solo come corpo fisico (estetica esasperata, chirurgia plastica, diete da capogiro), accettando in pieno il punto di vista patriarcale, quindi maschile.Ancora oggi ricorriamo molto spesso a tipiche frasi femminili, provenienti dal passato più remoto, come “ho mal di testa” o “non mi sento bene”, per trovare una scusa per non fare l’amore.
Sembrano frasi molto banali, ma nascondono un mostro potente. Vi siete mai chieste perché dobbiamo ancora trovare giustificazioni e perché solo di stampo corporeo?
Perché il rispetto per noi stesse è stato così azzerato dalla nostra cultura, da non permetterci ancora di coniugare con facilità il verbo volere, ma solo il verbo potere.
Non posso (e solo per ragioni di salute) è l’unico modo lecito di evitare un incontro spiacevole permesso dalla cultura patriarcale. Agli occhi di molti uomini, ancora adesso, la donna è un essere “strano, che non si sa che cosa voglia, con strani mali e strane richieste”. Il non posso rimane, quindi, un modo di scegliere passivo, servile, tipicamente femminile, è un modo di fuggire dalle proprie responsabilità di scelta. È il mio corpo che non può, non io! Di conseguenza accetto la mia impotenza. Io non posso farci nulla.
Un non voglio presupporrebbe una presa di responsabilità che ancora la donna stenta a prendersi. Il linguaggio del corpo è stato per secoli l’unico linguaggio concesso alla donna, proprio perché considerata solo corpo e, per giunta, un corpo diverso, strano, misterioso, un corpo sconosciuto all’unica fonte di conoscenza accettata (quella maschile) e quindi inconoscibile.
Di questo corpo misteriosamente attraente ed intrigante e dannatamente capace di fare figli, la donna è stata sempre vittima, almeno fino ad ora. Impoverita e non arricchita da simile magnificenza.
…to be continued
(Brano liberamente tratto dal libro “LA TRAPPOLA INVISIBILE “e “QUANDO TROIA ERA SOLO UNA CITTÀ” della stessa autrice- www.mirellasantamato.net)