ll regno dell’amore e il regno dell’odio
Prosegue il racconto di Mirella Santamato sulle trappole invisibili che ci impediscono di amare.
Se sei rimasto/a indietro leggi qui il primo articolo, a questo link trovi invece il secondo e qui puoi leggere la terza parte; la quarta parte; quinta; sesta; settima e ottava parte del racconto di Mirella Santamato.
Eravamo rimasti all’inizio della catastrofe umana. Allora è solo “colpa” della prosopopea maschile o c’è dell’altro? Eva cosa fa, in tutto questo? Non certo la povera vittima innocente, perché anche lei in qualche modo è colpevole. Lo è nel modo e nella misura in cui permette che Adamo compia il suo scempio. Non cerca di dissuaderlo, non lotta affinché il peccato di Supremo Orgoglio non venga compiuto.
Era l’unico essere pari ad Adamo, l’unico essere creato uguale, della stessa specie e di pari dignità, e… non fa nulla!
Questo è l’atroce crimine compiuto da Eva. Il silenzio. Eva rimane muta.
Crimine che viene puntualmente compiuto anche oggi, da migliaia di donne, in ogni parte della Terra e che porta gli stessi nefasti risultati. Le donne tacciono e subiscono.
Spesso le donne accusano gli uomini di vigliaccheria, ma sono convinta che le prime a doversi prendere la responsabilità di questa mancanza di coraggio siano proprio le donne, anche se ormai, nei secoli, le strutture coercitive del silenzio sono diventate granitiche, talmente potenti che spesso il prezzo da pagare, in alcune aree del pianeta, sarebbe superiore alla vita stessa. In queste zone (mi riferisco soprattutto ai paesi islamici, quelli del terzo mondo e a tutte le zone sotto l’influenza cinese o giapponese) il percorso dell’espressione di sé diventerebbe talmente pericoloso per le donne che diventa comprensibile il loro stato di passività totale. Pur tuttavia questo non cambia i termini del problema in senso teorico: Eva, connivente con Adamo, è parimenti “colpevole”.
Che ogni “vittima” condivida la stessa responsabilità, in qualche modo, del proprio “carnefice” è cosa nota in psicologia, e tutto funziona con le stesse modalità, sia nel macrocosmo sia nel microcosmo.
Da quando Adamo, compiendo un atto di efferato Orgoglio, non ha più avuto amore per Eva, né per tutti gli altri esseri simili a lui, cominciando la terribile escalation della distruzione del pianeta, è nato l’odio, la prevaricazione, l’inganno, il delitto.
Ha inventato la Guerra e, con il nome di Dio sulla bocca, ha compito e continua a compiere efferati delitti. E la Donna, in tutto questo? La Donna non ha quasi mai partecipato alle guerre, ma è stata quella che ha condiviso, con il condottiero, il bottino della guerra, ed ha inneggiato agli eroi di guerra, sposandosi ed accoppiandosi con il vincitore delle imprese guerresche.
Ha mangiato e si è nutrita, vestita ed agghindata dei trofei nemici e ha usato la ricchezza che proveniva dalla Guerra, inebriata dal potere come e più di lui. Connivente ogni volta con il dominatore, appunto.
Gli spiriti evoluti sanno che in ogni guerra, in effetti, non esistono vincitori, ma solo vinti.
Però questo concetto è ancora estraneo, oggi, alla maggioranza delle Nazioni del nostro pianeta. Diecimila anni di guerre quasi ininterrotte non hanno ancora fatto capire una semplice verità: nella distruzione non c’è nessuna soluzione. Eppure continuiamo imperterriti nella nostra escalation di follia collettiva. Ci dimentichiamo che il mondo è tondo e che, alla lunga, quando i fucili di tutta la terra saranno messi in fila, noi ci ritroveremo davanti alla bocca delle stesse armi che noi avevamo fabbricato per dominare gli altri e “vincere”.
Una gran beffa davvero!
Alcuni attribuiscono l’origine del Male non all’Uomo, ma al Serpente, cioè al cosiddetto Diavolo. Qui risiede il primo autoinganno; se si sceglie di porre il problema fuori da sé, su di una creatura mostruosa, con le corna e con la coda, nello stesso momento ci si proclama impotenti a dominarlo. Bisogna accettare che “il diavolo” siamo noi, che l’origine primigenia delle grandi guerre devastanti è dentro il rancore che nutriamo quotidianamente l’uno per l’altro, che è l’odio per il nostro vicino, il disprezzo che sentiamo per chi consideriamo inferiore e così via. Indubbiamente come “diavoli” siamo ben riusciti, visto che siamo stati bravissimi a crearci una vita… d’Inferno. Guarda caso!
Tutto torna, tutto, ora, appare semplice e chiaro. Non dobbiamo dimenticarci, però, che così come siamo diavolo, così siamo divini. È tutto dentro di noi, l’una e l’altra faccia.
Il motivo per cui, a tutt’oggi, abbiamo così gravi problemi, a qualsiasi livello, sia nel mondo che nelle nostre singole vite, è facilmente spiegabile da questo punto di vista.
Non siamo più nel regno dell’amore, ma in quello dell’odio.
Basta aprire qualsiasi quotidiano o collegarsi a un qualunque social, per avere miriadi di conferme. Una banalità? Certamente, ma proprio nelle banalità più spinte si trova il seme della verità, se si hanno gli occhi giusti per vederlo.
Le banalità sono dappertutto, e dalla loro analisi attenta possono scaturire dei concetti sconvolgenti.
Per esempio: oggi si considera irrilevante il fatto che alle donne manca solo “portare il nome” e poi sono uguali agli uomini, quasi che quel “portare il nome” fosse una bazzecola trascurabile, quasi non più di una sciocchezza, in confronto alle enormi conquiste che la donna ha fatto negli ultimi due secoli, almeno nel nostro emisfero.
Inutile dilungarsi su ciò che le donne hanno dimostrato di saper fare “come e meglio degli uomini”. Si sono rivelate capaci sia nelle arti sia nei lavori di più alta responsabilità, hanno varcato i mari e i cieli, sempre più in alto, sempre più sicure e libere di esprimersi e di affermarsi.
Eppure in una società fondata sul patrimonio, un piccolo “ma” ha sempre offuscato queste piccole o grandi vittorie: il frutto del proprio ventre sarebbe sempre parso, come nome, figlio/a di un altro.
Qui si nasconde il crimine occulto che continua a perpetrarsi e che la donna permette che sia portato avanti. Le parole padre, padrone, e patrimonio hanno la stessa origine etimologica e questo ci deve far molto riflettere. Solo in una società di tipo mercantile come la nostra, fondata sui soldi e sul valore delle merci di scambio, il patrimonio (ed è ovvio) è l’unica cosa che conti. Siccome il patrimonio passa, o è passato sino a non molto tempo fa, attraverso il cognome portato dai maschi, l’essere maschio diventa una merce preziosa, di enorme valore. Se cambiamo i parametri, ipotizzando una società fondata su altri presupposti, il discorso cade. Il cognome non avrebbe più nessuna importanza, se il patrimonio non fosse più legato a chi porta quel cognome, cioè il sesso maschile. Questo porterebbe a non porre l’accento sull’importanza di avere un figlio maschio (che è un avvenimento fortuito e che deriva dal seme paterno, oltretutto), ma su parametri diversi, non più legati ai soldi. Allora i sessi sarebbero uguali e non ci sarebbero più le ingiustizie alle quali siamo troppo abituati. Per assurdo paradosso una società fondata sulla capacità di sollevare pesi, vedrebbe Rockefeller buon ultimo o quasi!
Siamo purtroppo talmente incapaci di ipotizzare qualcosa di diverso da questo sistema, che nessuna donna si accorge di essere lei stessa la prima portatrice dei valori maschili, cioè patriarcali e patrimoniali. Ancora oggi alcune donne che partoriscono un figlio maschio si sentono più brave di quelle che hanno partorito una femmina. Sono loro, e non i maschi della famiglia, i veri padri/padroni, anche se non se ne accorgono mai. La donna in questo tipo di famiglia tradizionale, che è stata così “brava” da aver messo alla luce un figlio maschio, di solito accetta passivamente il proprio ruolo di oppressa, perché sa che avrà la rivalsa, prima o poi. Tace e accetta tutto, per “amor di pace”. Annulla la propria femminilità nel tentativo inconscio di non nuocere al proprio figlio, poiché la struttura sociale di tipo patriarcale lo tutelerà in futuro. Come potrà più lei stessa andare contro a un modello di pensiero che renderà più facile la vita al proprio bambino?
Così si perpetua il silenzio colpevole di Eva, madre silenziosa e connivente di tanti Adami, che dimentica di essere lei stessa a partorire, con lo stesso dolore, anche tante Eve.
Neppure si rende conto che, pur portando il bambino/a dentro le sue viscere, nutrendolo con il suo sangue, con le sue energie fisiche e psichiche, sentendolo per nove mesi muoversi dentro il suo corpo e comunicando continuamente con lui/lei, questa “cosa” preziosa, che è vita ed è stata nutrita dalla sua vita, non sarà mai chiamata come lei, non avrà mai il suo nome, ma quello del marito. In questo tipo di società, ovvero fino a che questo sarà l’unico tipo di società che riusciamo a creare, ciò porta ad una castrazione del valore del femminile.
Lei viene alienata dalla sua stessa Conoscenza, e non solo tramite il nome. Eva ha permesso di venire tagliata dalla sua parte più profonda, cioè la Conoscenza della vita stessa. Si è guardata solo attraverso occhi maschili, solo come “contenitrice” di seme, non come “creatrice o co/creatrice di vita”. Abituata a pensare solo nel modo comune, come tutti, privata di un nome, privata della libertà di scegliere cosa fare della propria vita, lei si sente senza identità. Perduta.
Quella che ci sta davanti è una Eva mutilata, dissociata, istupidita e incapace di riconnettersi con il suo interno. Questa Eva non potrà mai arricchire interiormente nessun Adamo.
La trappola, quindi, rimane chiusa a doppia mandata.
To be continued…
Mirella Santamato
(Brano liberamente tratto dal libro “LA TRAPPOLA INVISIBILE “e “QUANDO TROIA ERA SOLO UNA CITTÀ” della stessa autrice- www.mirellasantamato.net)