A cura di Giuseppina Ranalli, Giulia Abbate e Carlo Papalini
Tra le tante questioni spinose con le quali dobbiamo confrontarci negli ultimi anni c’è la questione ecologica.
Quella del “clima” è stata indicata chiaramente come “la nuova emergenza”: la cosa non ci tranquillizza, né ci fa sperare in una presa in carico del problema.
Anzi, ci porta ad aspettarci distorsioni e abusi del tutto simili a quelli “pandemici”, che proprio grazie alla retorica emergenziale vennero dipinti come inevitabili, propinati alle masse e persino fatti amare da chi li ha subiti.
Il tutto senza nemmeno risolvere il problema che si dichiarava di voler affrontare: le politiche “anti – covid” si sono rivelate slegate dai dati, arbitrarie, surreali e dannose per le persone sotto più punti di vista, senza che il virus sia stato “sconfitto”.
“Dobbiamo imparare a conviverci”, questa è stata la mesta conclusione dopo tre anni di imposizioni e violazioni delle leggi e della dignità umana. Bel risultato, verrebbe da dire, se non fosse che molti di noi hanno capito da tempo che i veri scopi delle politiche pandemiche avevano poco a che fare con il virus, e che hanno brillantemente ottenuto i risultati per i quali hanno lavorato davvero: sottomissione della popolazione, abitudine all’obbedienza e alla passività, criminalizzazione del dissenso, rottura dei legami sociali, distruzione delle strutture pubbliche, e così via.
La “lotta al cambiamento climatico” sembra andare nella stessa direzione: c’è l’annuncio di imposizioni autoritarie, liberticide e surreali, che si abbatteranno sull’individuo medio, invitato a non fare la doccia, ad andare a lavorare a piedi, a non scaldarsi, a mangiare insetti… ma non ci pare di vedere altrettanta severità né con le grandi multinazionali, responsabili della maggior parte dell’inquinamento planetario, né con gli stessi stati, che non esitano a gettarsi in un’orgia bellica fatta di aerei, razzi, armamenti, i cui effetti deleteri sull’ambiente, oltre che sulle persone, dureranno generazioni!
Per questa ragione, molta parte dei movimenti del “dissenso”, che in questi anni si sono mobilitati contro le “politiche pandemiche” e contro una propaganda mainstream ormai mortifera e irricevibile, stanno reagendo alla “questione climatica” con prese di posizione molto forti, in particolare esprimendo critiche sul modello climatico.
Le contestazioni, seppure fondate, rischiano però di diventare una sorta di boomerang in grado di favorire la narrazione ufficiale.
Da una parte, i media mainstream sono compatti e solidali con le politiche dei governi che indicano l’eccesso di CO2 come un problema centrale, in grado di innescare il cambiamento climatico, con tutto ciò che viene indicato come sua conseguenza: riscaldamento planetario, innalzamento delle acque, tropicalizzazione del clima, etc.
Dall’altra, i movimenti del dissenso sono invece divisi: c’è chi reagisce respingendo l’intero “pacchetto climatico”, perché ritiene che la CO2 non sia il vero problema, altri, al contrario, sono pienamente coinvolti nella narrazione sulla CO2 e tendono ad accettare acriticamente le politiche adottate dai governi incentrate su una presunta diminuzione di anidride carbonica.
La questione CO2, oggettivamente, non è semplice: l’anidride carbonica è più cose contemporaneamente. È un gas importante per la vita vegetale, prodotto naturale dei processi della vita; ma diventa un climalterante, e dunque un problema per l’ecosistema, quando è in eccesso nell’atmosfera.
Inoltre, nonostante le sventagliate di numeri e dati, nessuno sa veramente quanta CO2 in eccesso sia di origine antropica, e questo complica ulteriormente la questione.
Negli ambienti naturali è importante il bilancio del carbonio: più gli ecosistemi sono degradati dall’attività umana, più emettono CO2 nell’atmosfera invece di conservare carbonio. Quindi, per esempio, se si taglia un bosco esso passa da “pozzo di carbonio” a sorgente di CO2: ma non sempre, anzi, quasi mai questo incremento viene misurato. Si preferisce concentrarsi (e vedremo perché) su ciminiere ed emissioni industriali, che sono importanti e chiare fonti di CO2, ma appunto non le uniche.
E a questo proposito è lecito, dato il quadro politico, che ritorni prepotente il dubbio sulla scienza delle maggioranze e sui conflitti di interesse, già vissuto con le questioni sanitarie, quando qualsiasi pensiero di vera ricerca o anche solo qualsiasi domanda venivano attaccati da orde di individui, tra cui giornalisti e divulgatori scientifici, in posizione di potere e di sovraesposizione mediatica.
Risulta chiaramente che siamo in una fase climatica in riscaldamento. Per il resto non ne conosciamo pienamente le cause (CO2 antropica? Normale avvicendarsi di ere climatiche diverse?) e non possiamo predire la risposta che avranno gli ecosistemi a evoluzione naturale, da qui a dieci o a trent’anni.
Fingiamo per un attimo che la CO2 non sia un problema, che il tema non sia ritenuto importante e che tutti i valori di anidride carbonica siano quelli di 50 e di 100 anni fa.
Il quadro cambierebbe così tanto?
Deforestazioni selvagge, ceduazioni, perdita di biodiversità, inquinamento da plastica, inquinamento delle acque, inquinamento dell’aria, avvelenamento degli ecosistemi, distruzione degli ambienti naturali, perdita di suolo (in Italia ogni giorno asfaltiamo 14 ettari!)… è davvero il caso di litigare tra di noi sul problema della CO2?
Ed è un caso che proprio la CO2, con la sua insolubilità teorica, sia sempre la prima questione tirata in ballo? Non sarà che si mette sul piatto un problema più grande di noi, intrinsecamente insolubile, per non affrontare tutto il resto… per non arrivare mai ai problemi veri?
Insomma, il problema CO2 è a nostro avviso una chiara strategia per distrarre dalle vere ragioni dei problemi ambientali e dalle vere aggressioni agli ecosistemi.
Ricordiamo a titolo di esempio che proprio le politiche collegate alla CO2 prevedono l’incentivazione delle biomasse, ovvero del legname, come fonte rinnovabile: con la conseguenza che da trent’anni anni si stanno distruggendo estese superfici forestali per produrre biocombustibili e pellet. Milioni di tonnellate di metri cubi di legname sono bruciate, viaggiando da un continente all’altro: abbiamo già visto come la distruzione di un bosco aumenti la CO2, e vediamo oggi come tale distruzione è non solo permessa, ma anche favorita con incentivi economici, proprio nel nome della lotta ai cambiamenti climatici, della decarbonizzazione, della riduzione della CO2!
Il pianeta Terra non è illimitato, e ha risorse finite, circoscritte e determinate. Questo rende di fatto insostenibile il nostro attuale modello di sviluppo: quello capitalista, che si fonda sulla crescita illimitata quando non esponenziale (pensiamo alle accelerazioni della finanza, che si ripercuotono sui ritmi di produzione e di estrazione di risorse).
I problemi ecologici più urgenti da affrontare non ci sembrano l’aumento della CO2 e il riscaldamento globale, ma ciò che certamente sottende anche a essi: lo sfruttamento selvaggio delle risorse basato sul modello di crescita illimitata, e con esso l’inquinamento indiscriminato delle acque, dell’aria, del suolo, degli organismi e delle fonti di vita.
Eppure, sembra che cosa inquini e cosa non inquini non siano i fatti a dirlo, non le leggi chimiche e fisiche, non i meccanismi della vita e la loro osservazione… ma i potentati vari e le loro “conferenze sul clima”. Restando nel nostro esempio, proprio in tali ambiti si è stabilito contro ogni evidenza scientifica che le biomasse sono rinnovabili.
Parliamo di inquinamento: nell’aria si registra un aumento solo di CO2? È ormai ampiamente documentato che per ogni incremento di 10 mg/m3 di PM10 si hanno incrementi di mortalità per cause respiratorie e cardio-polmonari; e incrementi di ricoveri per cause cardiache e respiratorie.
Abbiamo poi l’Inquinamento idrico provocato dagli apparati urbani, industriali, militari, agricoli; che provoca gravi danni alla salute, come malattie del sistema nervoso, malattie renali e ossee, malattie del sistema circolatorio, malattie del sistema endocrino con conseguenti problemi riproduttivi di sviluppo e comportamentali; questi sono effetti verificati sull’essere umano dell’inquinamento dell’acqua.
Questi sono solo piccolissimi esempi dell’impatto micidiale che causano le attività antropiche legate alla produzione e al modello capitalista industriale in vigore da poco più di due secoli a questa parte. È necessario concentrarsi su tali questioni – inquinamento, sfruttamento e distruzione degli ambienti naturali – partendo dagli effetti e risalendo alla loro radice.
Bisogna quindi evitare di cadere nella trappola della discussione sulla CO2, creata probabilmente per non essere mai risolta, e dunque per disperdere le energie, confondere le acque, dividere i movimenti; e tenuta viva da una “scienza” che abbiamo imparato a conoscere a nostre spese e che rigettiamo: la scienza del dominio, la scienza del controllo dei popoli, la scienza della predazione, la scienza meccanicista e riduzionista al servizio dei potenti. Quella scienza troppo impegnata a diffondere la propaganda degli affaristi, al di là di ogni vero interesse umano, e contro la vita stessa.
A cura di
Carlo Papalini, Referente VITA Umbria
Giulia Abbate, Scrittrice, editor indipendente e curatrice editoriale, specializzata in scrittura di genere, è diventata attivista a undici anni e non ha più smesso. Oggi coltiva il suo impegno principalmente nel collettivo di fantascienza ecologista Solarpunk Italia e con il Comitato Resistenza Radicale – Azione Nonviolenta.
Giuseppina Ranalli, Ingegnere chimico e attivista ambientale indipendente, si interessa di fonti energetiche, inquinamento prodotto dalle centrali a biomassa e altre fonti inquinanti. In particolare, si occupa degli effetti causati dalle emissioni degli aerei sul clima e l’ambiente. Coopera con il gruppo di studio dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) che si occupa degli effetti sulla salute causati dalle emissioni degli aerei.
APPENDICE
Le teorie sul riscaldamento globale
A cura di Giuseppina Ranalli
La discussione sulle cause dell’aumento della temperatura media globale, che dal 1880 al 2022 secondo studi della Nasa è pari a 0,85 °C, è sempre molto accesa. La maggioranza della comunità scientifica (98% secondo alcuni studi) concorda con la posizione ufficiale dell’International Plant Protection Convention (IPCC) che vede nelle attività antropiche la causa di un riscaldamento senza precedenti.
Tra la minoranza della comunità scientifica che non concorda con la narrazione climatica vi sono coloro che ritengono che l’aumento della temperatura sia una normale variazione climatica naturale. Altri reputano inaffidabili le misurazioni e altri ancora criticano i modelli di simulazione adottati. Per questi ultimi la teoria del riscaldamento globale è monolitica e semplificata, il sistema Terra è così complesso che un’equazione concettualmente lineare è riduttiva e inadeguata sia a rappresentare tutte le possibili variabili sia le interazioni fra esse.
Vi sono anche altri punti di vista, del tutto trascurati e taciuti a livello mediatico, che sono interessanti e meritano attenzione perché muovono delle critiche molto logiche e circostanziate alla teoria dei cambiamenti climatici accettata come verità.
Va detto che la discussione sul clima è tutt’altro che distesa. Chi accetta come verità la teoria della maggioranza è poco incline al confronto. Rifugge il dibattito, non ammette critiche o domande ed è solito liquidare l’interlocutore con l’etichetta di “negazionista”.
Innanzitutto, va fatta una riflessione sul concetto di maggioranza scientifica.
Molti scienziati affermano che la scienza non è democratica e che non si decide per alzata di mano su dati, teorie e ipotesi.
Quando a chi muove obiezioni non può essere affibbiata l’etichetta di “negazionista”, perché si tratta ad esempio di uno scienziato di chiara fama, ecco che lo si zittisce precisando che il 98% degli scienziati concorda che l’uomo è la causa del riscaldamento globale.
Tralasciando di indagare su come sia stata determinata tale percentuale, resta il fatto che finché una teoria non è provata il dibattito dovrebbe restare aperto.
È importante anche un’altra precisazione: nessuno mette in dubbio che le attività umane possano modificare l’ambiente anche in modo irreversibile. I dubbi riguardano esclusivamente il modello climatico che vede l’anidride carbonica (CO2) come principale gas climalterante con conseguente effetto serra che provoca cambiamenti climatici come siccità, esondazioni, uragani, ecc.
Chi contesta la teoria del riscaldamento globale provocato dalla CO2 in realtà non nega nulla, semplicemente propone altri punti di vista sollevando obiezioni scientifiche, logiche e di metodo.
Omettendo quelle più note e che sono in parte riepilogate su Wikipedia alla voce “controversia sul riscaldamento globale” (https://it.wikipedia.org/wiki/Controversia_sul_riscaldamento_globale) si riportano di seguito quelle non citate.
Una delle obiezioni, che a prima vista potrebbe apparire come una discussione di lana caprina e che invece è in grado di scardinare l’intera teoria dell’effetto serra, riguarda il tipo di approccio nell’esaminare le cause dell’aumento della temperatura media del Pianeta.
La temperatura media globale è una media delle temperature rilevate. Se alcune di queste aumentano a causa di interventi sull’ambiente ecco che la media globale ne risente.
L’esempio tipico per spiegare questo concetto è la distruzione di una foresta pluviale. Dopo il taglio degli alberi, si registra sicuramente un aumento netto della temperatura nella zona, dove prima le temperature erano minori, grazie all’azione degli alberi.
Queste considerazioni, che si basano su ragionamenti logici non possono essere liquidate come negazionismo, perché sono fatti inoppugnabili. Si potrebbe solo dimostrare, calcoli alla mano, che le deforestazioni, le cementificazioni, la copertura del suolo, che indubbiamente fanno aumentare le temperature locali non incidono sul calcolo della temperatura media globale.
Un’altra minoranza non esclude che l’aumento della temperatura dell’atmosfera possa essere il risultato dei testi nucleari condotti in alta quota fra il 1958 e il 1962.
https://link.springer.com/article/10.1007/s11214-017-0357-5
In ultimo, ma non meno interessante, si riporta la teoria in base alla quale l’aumento della temperatura potrebbe essere legata al traffico aereo cresciuto significativamente negli ultimi decenni.
L’ipotesi è semplice e si basa su questo concetto “Le scie di condensazione generate dai gas di scarico degli aerei ad alta quota possono influenzare il clima perché possono persistere per molte ore. Come le loro controparti naturali, questi cirri antropogenici riflettono la radiazione solare e assorbono ed emettono calore che provoca un forzante radiativo” (Sassen, 1997; Meerkötter et al. 1999).
È a tutti evidente che quando le condizioni atmosferiche lo consentono, le emissioni degli aerei formano nuvole artificiali assimilabili ai cirri. Il fenomeno avviene per condensazione di vapore acqueo sulle finissime particelle di fuliggine prodotte dalla combustione del cherosene. I cirri sono una tipologia di nuvole caratterizzata da una espansione orizzontale e un basso spessore che lascia passare la radiazione solare verso la terra mentre blocca la radiazione uscente provocando così un aumento della temperatura nelle zone altamente interessate dal traffico aereo.
L’ipotesi, che si basa su fatti incontrovertibili, potrebbe spiegare perché nell’emisfero del nord, dove il traffico aereo è maggiore, si registra un più elevato incremento di temperatura rispetto all’emisfero sud. Tra l’altro la fuliggine prodotta dagli aerei in quota può essere trasportata dai venti anche in ghiacciai favorendone lo scioglimento.
In conclusione, è possibile affermare che la presunta dicotomia fra chi crede nella narrazione dei cambiamenti climatici causati dalla CO2 e i cosiddetti “negazionisti del clima” non esiste.
Esistono molte voci critiche che sulla base di osservazioni puntuali, concrete e scientifiche sollevano dubbi e perplessità. Poiché gli interventi politici, sociali ed economici si fondano sulla narrazione climatica dominante, che va ribadito è una teoria, non un fatto accertato, sarebbe doveroso fermarsi a riflettere anche perché nel tempo sono stati commessi, nel nome della CO2, molti errori.
Autore dell’articolo
Laureato in economia, specializzato in economia ambientale, è attivista ambientale in difesa del patrimonio boschivo forestale.
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