“Quale mondo…”. Note a margine, dopo un corteo per la Palestina

Questo scritto risale esattamente a un anno fa: è stato composto subito dopo la partecipazione a un corteo a Milano, corteo organizzato dalle organizzazioni palestinesi contro l’aggressione israeliana alla popolazione di Gaza, contro la collaborazione italiana alla strage, e per la pace.
In dodici mesi, l’aggressione si è trasformata in un genocidio di estensione e crudeltà mai viste prima, e si è estesa: alla Cisgiordania con un’invasione; al Libano con bombardamenti sulla popolazione di Beirut; all’Iran con atti intimidatori da parte di Israele. Tutto nella quasi totale inerzia della scena internazionale (con eccezioni, come Irlanda e Sudafrica) e sempre con il vile appoggio degli USA, dell’Italia e del cosiddetto occidente.
Già un anno fa, l’autrice era in dubbio se pubblicare un resoconto personale, perché ritenuto limitato e “piccolo” rispetto alla misura della catastrofe in corso. Abbiamo deciso di ospitare questo articolo perché crediamo che proprio nel piccolo, nel personale, nella limitatezza della propria interiorità è necessario nutrire riflessioni che diano “reincanto”: ovvero lo slancio necessario alla ricerca di una vita e di una società diversa.
[La Redazione]

Sabato 18 novembre 2023 ho partecipato al corteo a sostegno e solidarietà con la Palestina, contro l’occupazione e l’aggressione genocida dello stato di Israele.
È stata un’esperienza che mi ha toccata, per ragioni tutto sommato semplici, ma che mi fa piacere condividere, con una riflessione leggermente più ampia del solito post sui social – “luoghi” che tendo sempre più a evitare salvo necessità, proprio per il loro intrinseco condizionamento alla banalizzazione del pensiero.

Qualche elemento fattuale: il corteo è stato organizzato da Associazione dei Palestinesi in Italia, Unione democratica arabo palestinese, Comunità palestinese Lombardia, Giovani Palestinesi Italia, Associazione donne palestinesi in Italia.
Parliamo quindi di persone direttamente colpite dall’aggressione israeliana, che hanno famiglie a Gaza e in Cisgiordania e che stanno probabilmente subendo perdite in questi giorni.

Queste associazioni hanno organizzato altri cortei molto partecipati, sempre a Milano e sempre di sabato, e questo è stato il quarto. A differenza degli altri, però, non si è svolto in zone centrali ma alla periferia nord di Milano – la zona dove vivo: partito da piazzale Lotto, ha percorso la circonvallazione (Viale Elia, Piazza Stuparich, Via Renato Serra, Viale Monte Ceneri, Viale Bodio, Viale Jenner) per concludersi in piazzale Maciachini. E a differenza degli altri cortei è stato organizzato in pochi giorni e annunciato all’ultimo.

Gli ultimi due aspetti, ovvero la posizione non centrale e l’organizzazione tardiva, hanno a che fare con un’altra manifestazione, annunciata prima, negli stessi luoghi delle precedenti, ma organizzata da un diverso attore: Unione Sovrana e Popolare, il partito di Francesco Toscano e Marco Rizzo, ha infatti promosso un comizio in piazza Cairoli, sempre a sostegno della Palestina, con lo slogan “Ora la pace. Due popoli, due stati. Palestina libera”, al quale hanno partecipato, oltre che i nominati, Antonio Ferrari, Fulvio Grimaldi, Nicolai Lilin, Alessandro Pascale, Enzo Pennetta, Stefano Orsi, Moni Ovadia.
Alcuni di questi nomi si sono distinti nei mesi scorsi per iniziative politiche di rilievo, e in generale fanno parte della variegata “area del dissenso”.
Tale definizione è nata tre anni fa per definire chi si è opposto alle politiche pandemiche; poi ha accolto chi ha levato voci critiche rispetto alla politica di appoggio NATO in Ucraina; e ora si allarga a includere chi inorridisce al massacro di Gaza e a sentir parlare in modo tanto disinvolto di “autodifesa” (come altri, più accorti, già inorridivano al sentir parlare di “guerra al virus” o di “Putin pazzo come Hitler”).

Questo comizio di piazza di Unione Sovrana e Popolare è stato realizzato, a quanto mi risulta, senza consultarsi con i movimenti palestinesi che organizzavano già il corteo del sabato. In molti, compresa la sottoscritta, hanno considerato meritevole in senso generale l’iniziativa di Unione Sovrana e Popolare, e auspicabile che nascano soggetti politici che portino avanti le istanze minoritarie e difendano chi ha visto i propri diritti duramente violati in questi anni. Ma in molti, compresa la sottoscritta, hanno preferito portare la propria presenza alle comunità palestinesi e manifestare così la diretta solidarietà a questa martoriata popolazione.

Il corteo è partito in sordina: mi sono unita ai manifestanti all’altezza di piazza Stuparich, andando loro incontro a piedi, da casa mia.

Imponente il dispiegamento di forza pubblica, sia schierata che in borghese; agenti antisommossa, poliziotti e vigili urbani (che chiudevano le varie strade di pertinenza beccandosi gli strombazzi degli automobilisti, alcuni dei quali parevano in preda a idorofobia: è Milano, baby); inoltre c’erano diverse camionette cellulari che hanno affiancato il corteo per l’intera marcia.

Detto questo, il gruppo di manifestanti che a piazza Stuparich appariva sparuto si è presto rimpinguato, diventando un serpentone più popoloso: secondo gli organizzatori, ha contato 4.000 persone.
Per quanto mi riguarda, sono arrivata a metà di viale Jenner (quindi quasi alla mèta, verso piazza Maciachini), al che ho deciso di fermarmi e, a partire dalla testa, di veder passare l’intero corteo: penso di poter tranquillamente confermare quel numero, qualche migliaio di persone, se non anche qualcuna in più considerata la lunghissima coda di gruppetti e famiglie che, a corteo passato, correvano per raggiungerlo, a partire almeno da via Monte Ceneri.

Le persone, parliamone: oltre alle realtà palestinesi, che aprivano su un camioncino con microfono, c’era qualche movimento, il Coordinamento per la Pace Milano (che collabora da vicino con le associazioni palestinesi nell’organizzazione di cortei e iniziative), gruppi politici cittadini, striscioni di gruppi informali, la Casa delle Donne, alcune falci e martello, capipopolo con altoparlanti, volantinaggi; persone palestinesi e non solo, c’erano tanti arabi, anche con famiglie, o madri con i figli al seguito, anche sui passeggini; molti gruppi di italiani, moltissimi di giovani, ma anche diversi adulti di ogni età; mi ha colpita anche la quantità di persone sole, che procedevano camminando in silenzio, senza un gruppetto di appartenenza, magari anche con un cartello.

Forse il mio sguardo era sensibile a queste presenze silenziose, perché lo ero anche io: dei due comitati di mia conoscenza che mi aspettavo di trovare e a cui unirmi non c’era nessuno, erano impegnati in altre iniziative o nell’altra piazza, così ho fatto il corteo in una condizione di “solitudine tra la gente” che, dopo tante volte che mi è successo, inizia a provocarmi una mesta stanchezza.
Già in piazza Stuparich, in effetti, mi sono persa un po’ d’animo e ho pensato di lasciar perdere e tornarmene a casa; ma la forza e la dignità di chi era lì, con le famiglie, con le bandiere, con foto di morti e feriti martoriati su cui era impossibile posare lo sguardo, mi hanno ridato spinta, insieme a un altro dettaglio che si è rivelato importante per me: il percorso.

Il corteo, infatti, per imboccare la circonvallazione verso piazzale Maciachini, si è inoltrato (o è stato diretto, va bene lo stesso) non per la strada normale, ma sopra il lungo cavalcavia che in due sopraelevate taglia i quartieri della zona.


L’idea di poter camminare su un vialone che di solito è riservato allo sfrecciare delle auto (anche della mia) mi ha ispirato un senso di euforia, come di una momentanea e provvisoria liberazione.
Ed è stato davvero particolare pestare i piedi lì sopra, in un tempo lento, guardando giù e distinguendo i volti di chi alzava lo sguardo alla processione di bandiere e fumogeni rossi: alcune persone ci salutavano, un rider si è fermato e ha applaudito con le mani in alto, diverse donne con velo e figli al seguito guardavano compiaciute, alcuni negozianti di negozi di kebab o telefonia (molto presenti in zona) erano fuori dalle botteghe, fumavano pensosi, la faccia in su. Tutti facevano video e foto con i cellulari, tutti, anche gli abitanti dei palazzoni tra i quali si allunga la circonvallazione, e anche questo per me è stato significativo.

Che strano distinguere i volti delle persone affacciate alle finestre, ai terrazzi, persone che vivono lì e tutti i giorni devono sorbirsi il fracasso della viabilità di auto, moto, camion, con clacson, esalazioni, scoppi… chissà cosa devono aver pensato, a vedere un convoglio di persone a piedi, spero sia stato bello per loro, come lo è stato per me poterli guardare con calma, senza sfrecciare via, guardare i terrazzi, le tende, i volti dietro i vetri (italiani ma in maggioranza stranieri), con qualche saluto e una bandiera palestinese aperta da una ragazza al nostro lento passaggio.

Quale mondo, quale modalità di vita, quale struttura dell’esistenza ci offre questo nostro sistema economico, diventato ormai anche politico e ideologico… questo sistema che sfreccia e strombazza cieco, che non ha mai avuto pietà con chi resta “fuori” (ai confini, nel mari, nei campi profughi, nei paesi dove si può sfruttare il lavoro), ma che in fondo è un cannibale che prevede alienazione e disintegrazione anche per chi è “dentro”…

Comunque. Da non palestinese, da “straniera” di un corteo così connotato (e di una città che dopo vent’anni di permanenza mi risulta più sgradita che mai, come il sistema che essa entusiasticamente abbraccia), mi sono trovata a casa, a casa in un modo collaterale ma toccante: a casa nel poter conoscere in modo diverso, più umano, i luoghi dove ogni giorno devo passare a velocità imposta; a casa nel trovarmi accanto alle persone del mio quartiere, tantissimi di quegli arabi con i quali, scuole elementari a parte, poi non ho nulla in comune e dunque non mi trovo mai a condividere niente.

E d’altra parte, a casa io non mi ci sento quasi mai: per stili di vita che non mi appartengono, per ideologie maggioritarie che rifiuto, e per essere aliena agli stessi movimenti con i quali condivido sì pezzi di strada, ma mai per sempre, mai per partito preso, a volte in modo tormentoso e sempre con animo irriducibilmente anarchico.

Questo corteo è stato un momento di grande significato, nel quale lo sdegno verso la guerra si è mescolato alla meraviglia di un cammino inconsueto, e alla malinconia della solitudine; ma anche al riconoscere che la mia malinconia non è nulla, se paragonata alla tristezza che una persona migrante prova pensando alla sua terra madre, al fatto di averla dovuta lasciare… per non citare il dramma di chi ora la vede sanguinare e morire orrendamente sotto le bombe di un Occidente ricco, padrone, disgustoso, nichilizzatore.

E allora torno a stringermi addosso questa mia piccola e trascurabile solitudine, che mi fa vivere in una ricorrente e trascurabile tristezza, e penso che siano entrambe un dono, una ricchezza esistenziale che mi insegna qualcosa, che rallenta la mia andatura e le dà qualche vista in più, che mi aiuta a scegliere in modo più naturale la parte di chi soffre, e non la cambierei con la tranquilla sicurezza di una vita tra vicini di quartiere (e non l’ho fatto).

Ne concludo che rimanere nella mia orrenda periferia in nome della solidarietà è stata la scelta giusta per me, mi ha lasciato qualcosa nel cuore, e di questo ringrazio le associazioni palestinesi che hanno organizzato il corteo, e che dalla loro esistenza migrante e martirizzata hanno permesso a una come me (alienata sulla sua terra, ma comunque al sicuro, e non priva di radici interiori che valgono a farle da casa) di vivere una inaspettata esperienza di puro reincanto.

Giulia Abbate
18/11/2023

Tutte le foto sono a cura dell’autrice

Ti è piaciuto l’articolo? Condivilo sui social

Autore dell’articolo